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La porpora

Rosso Porpora

La porpora era, nel mondo antico, un colorante raro e pregiato,
che si otteneva attraverso procedimenti elaborati e costosi. E’ un particolare tipo di colore rosso che deriva, precisamente, da un pigmento di origine organica, ossia animale. Il pigmento è una sostanza finissima che quando

viene diluita (in acqua o in altri liquidi che la sciolgono) oppure cosparsa, è capace di trasferire il proprio colore alla superficie con cui viene in contatto: di solito sui tessuti. Nel I millennio a.C. i più rinomati produttori di porpora erano i Fenici, che esportavano questo colorante dovunque ve ne fosse richiesta, traendone grandi profitti. Con il tempo, l’associazione tra i Fenici e la porpora divenne talmente stretta che chi diceva «fenicio» diceva «porpora». Infatti, il termine «Fenici» che usiamo deriva dal greco Phòinikes ed è connesso con phòinix, «rosso porpora».

Porpora al tempo dei Fenici

Il termine «Fenici» che usiamo deriva dal greco Phòinikes
ed è connesso con phòinix, «rosso porpora». I Fenici la estraevano dalle ghiandole essiccate di alcuni molluschi, precisamente dai
i murici (nella foto). Pensa: per estrarre qualche grammo di porpora servivano migliaia di questi piccoli esseri viventi! La rarità e la preziosità dei tessuti colorati di porpora contribuirono ad attribuire

a questo colore significati particolari nelle culture antiche, al di là della semplice allusione alla ricchezza e al lusso: come la forza vitale (il rosso del sangue), ma anche il sacrificio (il sangue delle vittime) e quindi la purificazione e la rigenerazione. Il porpora era poi associato a funzioni politiche di prestigio, alla regalità, alla dimensione del sacro: a Roma i senatori si distinguevano per la toga ornata da un bordo purpureo e ricami di porpora aveva la toga dell’imperatore. Oggi alcuni di questi significati si ritrovano nel colore porpora che distingue il mantello e la berretta dei cardinali, i più alti ecclesiastici della chiesa cattolica, tanto che «porporato» è appunto sinonimo di «cardinale».

Realizzazione del colorante


La tecnica adotta dagli antichi Fenici per produrre il rosso porpora consisteva in questi passaggi:

I molluschi, pescati probabilmente per mezzo di nasse (ceste di vimini) con esche, venivano frantumati in grandi vasche.

A questo punto si aggiungeva acqua di mare. A seconda della quantità d’acqua impiegata per diluire il pigmento, si ottenevano tonalità di colore più o meno intenso: dal bruno al rosso cupo, al violaceo. Sfumature più chiare – come il color giacinto, il lilla e l’ametista – si creavano con l’aggiunta di altri elementi: urina, miele, farina di fave e licheni che crescevano sulle scogliere del Mediterraneo.

Dopo alcuni giorni venivano immerse le stoffe che prendevano il color porpora. La fibra già tinta veniva lasciata macerare, la si puliva, e la si immergeva nuovamente, anche più volte, nella porpora, e per una durata che dipendeva dall’intensità del colore desiderata.

Successivamente venivano lasciate ad asciugare al sole.

Il risultato finale era una tintura indelebile. Tutti gli altri coloranti conosciuti nell’antichità erano instabili: si trattava di pigmenti vegetali che a lungo andare sbiadivano, sotto l’effetto della luce. La porpora, invece, non degenerava e anzi assumeva con l’invecchiamento dei riflessi nuovi.

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